Ligresti-Cancellieri/4
Tutti gli amici
di don Salvatore il generoso
di Gianni Barbacetto
Don Salvatore è un uomo generoso. Le sue case, i suoi alberghi, i suoi soldi erano sempre a disposizione degli amici. Adesso Salvatore Ligresti, travolto dal tracollo Fonsai, rinchiuso agli arresti domiciliari nella sua bella villa nel verde di via Ippodromo, a Milano, è stupito della irriconoscenza dei tanti a cui “ha f quattro stelle in Sardegna. “Si è incazzato tantissimo perché io gli avevo detto: no, deve pagare anche, no? Porca puttana! Ah! Ah! Non l’avessi mai detto”. Così davanti al mare cristallino di Villasimius arrivavano politici e ministri, prefetti e direttori di giornali, riveriti e coccolati anche a tavola: “Pare che ci sia un quintale, no, una tonnellata di aragoste in conto!”. Uomo pratico, don Salvatore sa che la generosità viene poi ricompensata. Lui non dimenticava gli amici e gli amici non si dimenticavano di lui. Così è stato per molti anni, fino alla caduta.
La Milano da bere
Erano gli anni Ottanta, quando girava per gli uffici del Comune di Milano, ripartizione Urbanistica, con i suoi maglioncini con la cerniera lampo: sorrisi, battute, pacche sulle spalle. Aveva conquistato tutti, dall’assessore all’ultimo impiegato. La caporipartizione, soprattutto, donna potentissima che veniva dalle sezioni del Pci: si chiamava Maria Grazia Curletti ed era preziosissima per sbloccare una pratica o ottenere una licenza. Abitava in un appartamento di via Ripamonti, costruito da Ligresti, ed era spesso ospite dell’hotel-residence Planibel di La Thuile, in Val d’Aosta, proprietà di don Salvatore. Niente di nuovo sotto il sole: le aragoste al mare sono state precedute dai tartufi in montagna.
Gli amici di Napolitano
Già nei primi anni Ottanta la generosità di Ligresti era nota a Milano. La conoscevano bene i suoi inquilini eccellenti, come l’allora assessore socialista all’edilizia privata, Giovanni Baccalini, che viveva in un’elegante villetta di San Siro concessa a equo canone. E come il potentissimo architetto Andrea Balzani, il deus ex machina del piano regolatore milanese, che aveva lo studio in via Manin, in un palazzo di Ligresti affacciato sui giardini di via Palestro. In quegli anni l’ingegnere, uomo molto fortunato, vede molti dei terreni agricoli che aveva comprato nella periferia milanese diventare in un baleno preziosissime aree edificabili.
Generoso e anche un po’ mecenate, don Salvatore, tanto da buttare soldi in imprese intellettuali di nicchia: ha finanziato per anni un giornale, Il Moderno, diretto da Lodovico Festa, che non ha mai venduto più di 500 copie. Era l’organo della corrente “migliorista” del Pci, guidata a Milano da Gianni Cervetti e a Roma da Giorgio Napolitano. Una sentenza sosterrà che quei soldi erano un finanziamento illecito a una corrente del Pci-Pds.
Quanti amici in prefettura
Bipartisan in politica, Ligresti non dimentica le istituzioni. Ha sempre avuto molti amici, per esempio, alla prefettura di Milano. Strettissimo il rapporto con Anna Maria Cancellieri, negli anni Ottanta viceprefetto. Nel 1987 riceve addirittura un cronista del Giornale chiamato a rapporto dai Ligresti: l’attuale ministro della Giustizia, mentre è capo ufficio stampa della prefettura, fa le pr per un personaggio che in quel momento è sotto inchiesta per abusi edilizi e corruzione, ma è anche oggetto di una indagine per mafia (aperta da Franco Ionta, proseguita da Piercamillo Davigo e poi archiviata).
In rapporti d’amicizia con don Salvatore anche il prefetto Enzo Vicari e due suoi successori, Bruno Ferrante e Gian Valerio Lombardi. Vicari diventa in seguito presidente di una delle cliniche dei Ligresti, l’Istituto ortopedico Galeazzi, Ferrante passa al vertice di una società controllata da Impregilo, la Fibe.
Bettino, La Russa e gli altri
Ma la rete dei rapporti dell’ingegnere, fitta e articolata, ha come campioni alcuni dei personaggi che hanno fatto la storia del Paese. Innanzitutto un Bettino Craxi all’apice del suo potere. Quando Silvio Berlusconi, che diventerà un amico e un alleato, era ancora soltanto un palazzinaro concorrente. È nella craxiana Milano da bere che lo sconosciuto Ligresti, che nel 1978 dichiarava al fisco un reddito di appena 30 milioni di lire, diventa “il re del mattone” e uno degli uomini più ricchi d’Italia. Mani pulite rivelerà qualche retroscena di quell’amicizia: come le massicce tangenti pagate da Ligresti a Craxi e ai suoi uomini per ottenere gli appalti della metropolitana milanese e per far ottenere alla Sai l’esclusiva dei contratti d’assicurazione dell’Eni.
Mattoni e banchieri
È Ligresti ad accompagnare Craxi da Enrico Cuccia, innescando un contatto prezioso per poi avviare la privatizzazione di Mediobanca sotto la regia dello stesso Cuccia, che sarà eternamente grato a don Salvatore. Dopo la sua scomparsa, l’ingegnere si mette nella scia di un altro banchiere: Cesare Geronzi. Fedele e silenzioso come sempre, sa che nell’ultraitaliano capitalismo di relazione, i rapporti valgono più dei bilanci. Finché dura.
Il finanziere Ligresti era nato in casa La Russa, quando il patriarca Antonino aveva pilotato nelle sue mani le eredità di Michelangelo Virgillito e Raffaele Ursini. Normale che poi i figli di Ignazio La Russa abbiano trovato posto negli accoglienti consigli d’amministrazione delle società di Ligresti. Uomo silenzioso, in 14 faldoni d’inchiesta pieni di parole, dichiarazioni e intercettazioni, di don Salvatore c’è una sola frase: “Non intendo rispondere”. Uomo generoso, ha creato luoghi che diventano icone. Uno di questi è il Tanka Village, dove erano invitati uomini di potere che sono stati utili o lo potranno essere.
Un altro, a Roma, è la mitica palazzina di via Tre Madonne dove abitano o hanno abitato Renato Brunetta e Angelino Alfano, Mauro Masi e Italo Bocchino, le figlie di Geronzi e il figlio dell’ex presidente Consob Lamberto Cardia. Poi ci sono cose che non si vedono. Ne accenna (intercettata) la figlia Giulia, parlando dell’azione del commissario ad acta mandato a presidiare le loro (ex) società: “Perché se il commissario fa saltare fuori che quelli sono tutti mazzettati, Ispav, Consob, cioè erano tutti appagati da Mediobanca per fare questa operazione...”. Chiacchiere al telefono, veleno sparso da chi conosce bene quei metodi e sta perdendo l’impero, poco prima che il vecchio don Salvatore fosse rinchiuso nella sua villa, a meditare su quanto sono ingrati gli uomini.
(Il Fatto quotidiano, 3 novembre 2013)
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